piombino in bici

storie e proposte del gruppo piombinese #salvaiciclisti


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La ciclabile del Perticale

E così avremo la ciclabile del Perticale entro la fine del 2020.

Stando all’ultimo annuncio del Comune a tema infatti:

La giunta comunale ha approvato il progetto esecutivo della pista ciclabile del Perticale: circa 250 metri di tracciato ciclopedonale all’interno del parco del Perticale che collegherà la scuola elementare con via Pertini.
Il cantiere partirà a giorni; si prevede la completa realizzazione dell’opera entro la fine del 2020.
Si tratta di un intervento funzionale agli spostamenti nel quartiere – spiegano il sindaco Francesco Ferrari e Marco Vita, assessore ai Lavori pubblici – che unirà due tracciati esistenti e darà continuità a un percorso molto frequentato dai cittadini. La pista ciclabile, nella sua interezza, collegherà molteplici attrattori della zona, in particolare la scuola elementare del Perticale, quelle superiori di via della Pace e numerose attività commerciali, sportive e ricreative. In questo modo daremo la possibilità ai cittadini di abbandonare le automobili incentivando la mobilità dolce, il tutto in totale sicurezza”.
Un intervento di 50mila euro cofinanziato dalla Regione Toscana e dal Comune di Piombino: la pista ciclabile sarà a doppio senso di marcia per una larghezza di due metri e mezzo e sarà dotata di un impianto di illuminazione per consentirne l’utilizzo durante tutto l’arco della giornata.

Peccato che a me piaccia sempre andare a verificare gli annunci, e provare a capire nel dettaglio di cosa stiamo parlando, specie quando si toccano i percorsi che faccio quotidianamente, perché anche se ho smesso di chiedere io in bici continuo a spostarmici, e continuo a non sopportare molto il bikewashing.

Toccherà essere lungo, andiamo con ordine:

1) La scuola elementare è già collegata con via Pertini, così come lo è il Conad.
C’è un percorso più che sicuro che parte davanti alle elementari, entra in via Zelli, che è una stradina sicurissima, e sbuca all’altezza del campo di calcio. Non si spiega la necessità di un raccordo aggiuntivo. Una ciclabile sarebbe stata più utile sulle direttrici di scorrimento, a partire (perlappunto) da via Pertini.

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2) I “due tracciati esistenti” in realtà ancora non esistono.
Uno presumo sia quello da via della Pace (in via di realizzazione da mesi, che aspettiamo da anni, e per il quale rendiamo grazie a Conad) al parcheggio della scuola (triplicato grazie alla giunta vecchia, perché ok la mobilità dolce ma i bimbi a scuola ce li devi porta’ colamàghina)
L’altro? È quello previsto dal piano d̶e̶i̶ ̶p̶a̶l̶a̶z̶z̶i̶n̶a̶r̶i̶ del social housing in via Pertini, dove al momento ci sono, nell’ordine:

A) Un cartello di ciclabile su un marciapiede, all’altezza del Rodari
B) Due attraversamenti pedonali con quadrelli di attraversamento ciclabile da un marciapiede all’altro (uno dei quali attualmente finisce sullo spigolo vivo del marciapiede)

3) Le luci sono soldi buttati via: tutta la zona (ovviamente tranne il fosso da dove vogliono passare non si sa perché) è perfettamente illuminata, e di buio in bici le luci sono obbligatorie. L’inquinamento luminoso ringrazia, ma anche e soprattutto la razionalizzazione dei costi.

4) A proposito di costi, qui c’è un riferimento – sicuramente datato ma utile a farsi un’idea – dei costi al metro dei percorsi.
A me la cifra prevista pare assolutamente sproporzionata, ma in effetti sono i soldi che spendi se invece che fare percorsi funzionali fai percorsi di maquillage. A veder bene rientra esattamente nella tipologia più costosa di tutte.

La domanda da farsi però (oltra a cui prodest) non è “Costano così tanto?”, come ho visto chiedere a molti. Ogni euro speso con criterio in infrastrutture dovremmo considerarlo un investimento, in grado di tornare indietro raddoppiato, anche solo in risparmi di costi sanitari.

Le domande dovrebbero essere:
È davvero necessario realizzarla così? In quel punto? Come primo intervento a tema?
È funzionale? A cosa?
È sicura?
Non si poteva ottenere di più (in termini di metri, ma soprattutto in termini di efficacia sul modal shift) intervenendo altrove, in maniera più leggera, meno costosa e altrettanto efficace?
Solo che le domande complesse non interessano, figuriamoci le risposte.

Quello che interessa è fare gli annunci.

Se dopo ci tocca confliggere sulle ciclopedonali con la gente a passeggio, i cani al guinzaglio, i runner, i passeggini, le ebike, i bimbi che vanno a scuola, gli anziani, i monopattini, tutti strizzati in un budello stretto dove non si disturbi troppo il traffico automobilistico, alla fine chissenefrega.

La bici serve per fare le passeggiate fino al parco, no?

5) Si continua a ragionare di pisteciclabili in termini di metri realizzati (addirittura duecentocinquanta!) e a farle bidirezionali e ciclopedonali.

Come amo ripetere quando voglio farla breve (giuro, a volte capita): ogni volta che un amministratore dice ciclopedonali da qualche parte nel mondo c’è una fata in bici che cade a terra morta.
Siamo sempre fermi a veder proporre le stesse sacche di marginalità, senza un quadro chiaro di dove andiamo a parare, strizzando pedoni e bici assieme e sempre e comunque senza fare niente, assolutamente niente, che vada a toccare le auto.
D’altra parte fare qualcosa dove serve davvero dà noia alle macchine, e noi non vogliamo, vero? Noi vogliamo andare in bici al parco la domenica.

6) È bello vedere che nonostante un piano della mobilità (discutibile, inadeguato, pavido, ma comunque al momento ancora in vigore) che prevede millemila percorsi ovunque abbiano scelto di partire con…

E ora qualcosa di completamente diverso

Sbattendosene di tutto quel che era previsto, senza minimamente preoccuparsi di avere un confronto pubblico, o prendere in considerazione le tonnellate di parole e idee spese in sei maledettissimi anni che – ahimé – ho evidentemente buttato via cercando di ragionare con le istituzioni.

Sì, ma alla fine, questo progetto qual è?

L’avevo detto che sarei stato lungo.
Partiamo dal primo dei “due tracciati esistenti”:

Dove in figura c’è scritto “percorso esistente” in realtà va letto “lavori in corso”, ed è il tratto a lungo invocato e legato al Conad.
Dove sta scritto “in fase di realizzazione” invece si transita tranquillamente da anni (per poi passare abusivamente da dentro le scuole, non sono il solo a farlo, ci sono i solchi delle ruote e le occhiatacce delle bidelle dell’IPC a dimostrarlo). Basterebbe regolarizzare il passaggio cambiando il cartello:

basta poco

Probabilmente è uno dei tratti più piacevoli della città.
La sensazione che non ne abbiano proprio idea, di cosa ci sia davvero in quell’area. Sapete, la vecchia storia di Alfred Korzybski sulla mappa e il territorio?

Poi passiamo al secondo:

Qui troviamo prima una gimkana che attraversa il viale, fa una serie di deviazioni immotivate – così, tanto perché i percorsi lineari sennò sono troppo comodi – e sale sul marciapiede dell’asilo, e poi una piccola perla: un “(per)corso ciclopedonale da ripristinare” anche se non è mai esistito, se non forse nelle intenzioni di chi ha scelto il colore degli autobloccanti millanta anni fa.
Semicancellato fin dal nome sul progetto da un parcheggio auto, in una specie di presagio tanto divertente quanto significativo. Tutto da una parte (lato parco, perché – ripetiamolo – con la bici ci si va al parco e a fare le passeggiate). E che finisce sullo svincolo più micidiale di tutta l’area urbana, all’incrocio tra via delle Medaglie d’Oro e viale Unità d’Italia, alla fine del chilometro lanciato dove tutti rispettano i limiti.
Praticamente secondo la logica di chi progetta i percorsi, ha un senso attraversare via Pertini per andare su una ciclabile realizzata sul marciapiede (soprattutto al mattino, con i genitori coi passeggini che portano bimbi all’asilo, un vero colpo di genio), dal lato opposto al suo senso di marcia, per poi riattraversare via delle Medaglie d’Oro una volta arrivato in fondo, e infilarsi nel carnaio della strada di accesso.
Applausi.

Ma d’altra parte questa è solo la parte da ripristinare legata al Conad e ai palazzi in costruzione in via Pertini. Come ha avuto modo di commentare il gruppo consiliare PD: è un progetto vecchio.
(Incredibile, per una volta siamo in sintonia!)

Il tragitto relativo all’annuncio è quello in rosso, e passa qui:

Prima sotto le scuole, a fare lo slalom tra i bimbi.
Poi lungo il fosso, accanto all’area di sgambo dei cani, un percorso completamente nuovo e ben illuminato, tanto cosa costerà mai?
Per poi attraversare e andare a fare un altro slalom tra i bimbi, ma stavolta quelli nel passeggino.

Se solo 100 metri a nord non ci fosse via Zelli, che è già percorribile, perfettamente sicura e collega già via Pertini con le scuole e col parco.

La strada che c’è già, in verde

Sono trenta metri sterrati ma già percorribili, una sbarra (di cui mi sfugge il senso) che li separa da una stradina per residenti, e un percorso pedonale già esistente e già separato.
Il problema di fondo? Il problema di fondo è che via Pertini è una strada di scorrimento, e andrebbe messa in sicurezza quella. Non tirando le bici dal lato sbagliato e inutile (a meno che uno non voglia andare al parco, perché ve l’ho già detto che in bici ci si va al parco, vero?) ma mettendo in sicurezza la strada.
E le rotatorie. Due, enormi.
Vi svelo un segreto: si possono fare rotatorie ciclabili, lo sapevate? Sapevatelo!

Col solito secchio di vernice, potevano spendere un decimo e indicare una bike lane a uso promiscuo.
Hanno deciso di mettere i lampioncini al parco.

Ma da gente che pensa ciclopedonali bidirezionali su un lato della strada dopo anni spesi a spiegare (non io eh, un tizio che fa un programma in TV che si intitola città a misura di persona) che sono disfunzionali, cosa ti vuoi aspettare?
E mica ce l’ho solo coi politici che le chiedono, o che le spacciano come soluzioni geniali per la mobilità di quartiere, in una città che si attraversa tutta in 15 minuti da una parte all’altra, e in cui si dovrebbe poter andare in sicurezza da un quartiere all’altro. Alla fine l’abbiamo imparato: la politica commercia in stabilità, vende l’aria a prezzi altissimi, e tende a dare soluzioni vecchie a problemi nuovi.
A me piacerebbe che nel 2020 un tecnico serio non la proponesse neanche come soluzione applicabile, una robaccia del genere.

Questo invece – per chi ha avuto la pazienza di arrivare a leggere fin qui – è il quadro completo:

A parte l’arena naturale che fa già ridere così senza commenti (no, davvero, fermatevi un secondo e rileggetelo lentamente… a-re-na na-tu-ra-le) l’unica nota aggiuntiva davvero interessante è quella in basso, sempre scritta in celeste: ciclabile in sede non riservata su via Lerario e via don Minzoni, previsione interventi di traffic calming e messa in sicurezza delle intersezioni.

Ma onestamente date le premesse sul resto, a questo punto si fa fatica a fidarsi. Al di là del cosa c’è scritto temo il come, nel mondo reale. Mi auguro che non finiscano per metterci degli altri dossi in salita. Magari qualcuno è in vena di entrare seriamente nel ventunesimo secolo, e ci scappa davvero una bike lane a uso promiscuo fatta in tempi rapidi.

Per quanto – a dirla tutta – in via Lerario, a salire, sul primo tratto non è che sia proprio una priorità, considerato che chiunque sia dotato di buonsenso può fare via 2 Giugno e via Curiel, spezzare la salita e evitando la strada dove passano i bus. La logica avrebbe voluto che proseguissero il percorso sulla direttrice centro dal parco del perticale lungo via primo maggio.

Ma la logica non abita qui da tempo, certe cose bisogna andare in bici er saperle. E d’altra parte bisogna accontentàssi.

“Ma come? Ti fanno le ciclabili e ti lamenti anche? Certo ‘un sei mai contento!”


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cambiare abitudini non è una passeggiata

tutti vogliono il cambiamento,
nessuno vuole cambiare

Domenica scorsa c’è stato un gradito bis del lungomare liberato.

Bisogna riconoscere che, in una città ostile alle variazioni come Piombino, anche l’annuncio dell’intenzione di renderlo un appuntamento fisso per primavera e estate è un primo atto di coraggio.
In fondo c’è chi per spirito di appartenenza ad una squadra è stato capace di ridire anche di un evento che innegabilmente ha avuto un discreto successo di partecipanti, nonostante la seconda edizione si svolgesse in un giorno in cui già era possibile andarsene a Baratti o in costa Est.
Fatto sta che la restituzione degli spazi alle persone è piaciuta.

 

In ogni modo, siccome qui guardiamo soprattutto al futuro, oggi è uscito questo video:

E alcuni passaggi sono interessanti…

Prima il cronista dichiara:
Ferrari si dice pronto a proseguire nel progetto di mobilità sostenibile sul lungomare, l’iniziativa offre la possibilità di ripensare piombino con nuove visioni […]

Poi è il turno del sindaco, che afferma:
vogliamo dare gambe a questa iniziativa
vogliamo renderla permanente per la primavera e per l’estate perché è uno scorcio meraviglioso della nostra città
è una passeggiata splendida e quindi deve essere valorizzata anche questa zona
E conclude:
nei periodi di crisi dobbiamo avere coraggio, dobbiamo cambiare le nostre abitudini dobbiamo migliorarle e dobbiamo sfruttare in maniera più consona gli spazi che questa città ci regala

Splendido.
Lo vado ripetendo da anni, lo vado proponendo da anni, di avere coraggio.

Ma finita l’ebbrezza di aver vissuto le prime liberazioni del lungomare, passato lo stordimento dato dal piacere di godersi in santa pace una delle passeggiate più belle della città, credo sia giusto fare un po’ attenzione ai dettagli e andare oltre.

Perché la mobilità ha poco a che vedere con le passeggiate. Ha poco a che fare con le pedalate familiari sul lungomare la domenica, e riguarda piuttosto la possibilità reale di cambiare le abitudini quotidiane.

Se è di spostamenti che parliamo, perché la mobilità riguarda gli spostamenti, migliorare le nostre abitudini non significa andare a passeggio sul lungomare piuttosto che al Falcone o a Spiaggialunga. Migliorare le nostre abitudini significa cambiare il modo in cui ci spostiamo.
Come andiamo al lavoro, come facciamo andare i nostri figli a scuola. Su quali strade, con quali rischi.

E se un evento come quello di domenica serve a dimostrare che in fondo la gente ha voglia di spazi per le persone, che alla fine si può fare, allora che serva da segnale, e non da paravento.

Giusto qualche giorno fa ho avuto l’occasione di scambiare due parole col Tirreno, che mi chiedeva come – alla luce di finanziamenti dell’80% per interventi in emergenza legati alla situazione – si potesse intervenire in città.

Ci ho pensato un mezzo pomeriggio, ed è uscito questo articolo:

Per chi non avesse tempo di leggerlo tutto, lo riassumo per punti:

corsie ciclabili a uso promiscuo auto-bici sulle strade principali
priorità alle bici sulle strade secondarie
interventi leggeri, rapidi e economici, niente infrastrutture pesanti
evitare di mescolare i percorsi ciclabili e pedonali
partire dai collegamenti con le scuole

 

La motivazione principale alla base dell’inazione finora è stata che non c’erano i soldi, ma ora si parla del’80% dei finanziamenti e di interventi realizzabili con spese irrisorie.
L’altro motivo ricorrente era che da non si può fare, il ministero non vuole, non ci sono gli spazi, non c’è la normativa.

case avanzate e doppio senso ciclabile

Anche questo sembra cadere sotto i colpi dell’emergenza, per le corsie ciclabili a uso promiscuo, per le case avanzate, e se tutto va bene anche per il doppio senso ciclabile (o senso unico eccetto bici)

Abbiamo tre mesi davanti, prima di settembre, per vedere se davvero gli amministratori avranno davvero il coraggio di cambiare le abitudini legate alla mobilità, o se ci saremo solo goduti una passeggiata senza auto sul lungomare.

Se state attenti, durante le vostre passeggiate, potreste accorgervi anche prima di allora se qualche cantiere sta cambiando qualcosa.

Altrimenti ci vediamo a settembre, coi pullman vuoti e i soliti assembramenti di macchine in fila davanti alle scuole.


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lungomare liberato

Fare o non fare, non c’è provare
[Yoda]

 

C’è voluta la scusa di una pandemia, per correre il rischio di chiudere lungomare Marconi alle auto un giorno intero, una domenica di primavera.

 

Non risultano morti e feriti, quindi evidentemente si poteva fare. I commenti che si intravedono in giro sono (tranne i pochi, soliti noti) perlopiù positivi.
Quindi direi che si può fare di nuovo.

Io e mia figlia ci siamo passati un paio di volte, attraversando la città da una parte all’altra, ed è stata nel complesso una bella sensazione.

C’era anche il sindaco. Gli ho rubato la foto da facebook.

Le famiglie a passeggio, ferme a chiacchierare, coi bimbi liberi di muoversi senza qualcuno a fargli da cane da guardia.
Il vallone, da decenni ormai abbandonato a se stesso, rimasto accessibile solo grazie a chi vive in zona o lo bazzica col cane, finalmente vivo e pieno di gente.
E il resto della città comunque vivibile, comunque senza la solita frenesia di andare di corsa chissà dove, una domenica di primavera.
I ragazzini che finalmente si sono ripresi la città in cerca di incontri troppo a lungo negati, hanno tirato fuori vecchi catorci dai garage, e si ricominciano a vedere in giro. Un paio li ho anche soccorsi, la catena schiantata, ridotta un blocco di ruggine, scorciata quel tanto che basta per rientrare a casa.

 

La giornata non era neanche granché, il vento, le nuvole. Per il distanziamento sociale diciamo che l’iniziativa è servita il giusto.
La scusa di una pandemia, appunto.

Però alla fine della fiera ne è valsa la pena. Come ho avuto modo dai dire nei giorni scorsi: #fatecicaso.

Fate caso all’aria pulita, ai sorrisi dei bimbi dietro le mascherine. Agli uccellini, al silenzio, al rumore del mare e del vento senza i motori di sottofondo.

Ora si tratta solo di provare a rifarlo.
Di renderlo una cosa normale, come nei paesi normali. In modo che anche i più scettici si abituino all’idea.

Un paio di volte, un paio di domeniche, e poi potremo azzardarci ad andare oltre.
Superare l’idea che debba per forza essere domenica, che debba essere per forza solo un’occasione di svago, e definire una volta per tutti che spostarsi – in una città come la nostra – può anche essere un piacere.

A me piace immaginare che il lungomare, oltre a diventare lungomare liberato due domeniche su tre, e magari ospitare bancarelle la notte d’estate, potrebbe diventare in maniera permanente una cosa del genere:

Un’advisory bike lane per il resto della settimana.
Una soluzione pratica, veloce ed economica. Una soluzione efficace, che ho provato in prima persona, che con una rapida mossa toglie le bici dalla scomoda posizione di fare a spallate con le persone a piedi, le mette in sicurezza dando loro priorità rispetto al traffico a motore, permette anche a chi non ha un mezzo a motore di spostarsi in autonomia. I bimbi, i teenager, ma anche le persone anziane.
Senza togliere spazio, senza costosi interventi infrastrutturali

Spazi condivisi.
Un po’ come oggi, ma per tutta la settimana.

Poi la domenica chiudiamo anche. D’estate magari ci mangiamo anche un bombolone a mezzanotte tutti assieme, ci beviamo un paio di birre, ci facciamo suonare per strada.

Intanto voi fateci caso.

E ricordatevelo, a fine pandemia.

 

Sarebbe bello avere un apparecchio in grado di creare silenzi.
Qualcosa di simile a un telecomando.
Con quello, potremmo attraversare il tumulto pieno di spine di una grande città come se navigassimo a vela nella vasta pace di un Oceano
[José Eduardo Agualusa]


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nel segno della continuità

If you plan cities for cars and traffic, you get cars and traffic.
If you plan for people and places, you get people and places
[Fred Kent]

Erano mesi che tutto taceva, e come promesso ormai a febbraio scorso abbiamo atteso, continuando a spostarci in bici. Che finisse la campagna elettorale, che si formasse la giunta, che avesse il tempo per cominciare a lavorare e produrre qualcosa di concreto e misurabile sui temi che qui sopra affrontiamo da ormai cinque anni.

Ieri, la prima azione ufficiale della nuova giunta che affronta il generico tema biciclette porta sempre la firma dell’assessore ai lavori pubblici e viabilità.
E esattamente come la prima uscita pubblica della giunta scorsa, nonostante il cambio di marcia, il nuovo assessore Gelichi insiste nel solco della criminalizzazione di chi si sposta in bici, pur tra le mille difficoltà di una città che fa di tutto per renderglielo difficile e che in decenni non ha fatto niente – al di là di un mucchio di discorsi e di carte confezionate male – per agevolare gli spostamenti a due ruote.

Quattro anni fa l’assessorato tuonava in nome del decoro contro le bici “posteggiate impropriamente” in vicolo Sant’Antonio, sotto al Comune, invitando ad usare una rastrelliera seminascosta lì dietro che però – oltre ad essere inservibile perché sostanzialmente sganasciata – era già di per sé quanto di più scomodo e inefficiente per legare in sicurezza una bici, specie in un vicolo poco frequentato, dove converrebbe tutelarsi nel migliore dei modi legando ruota-telaio-palo come da manuale.

Oggi è cambiata marcia, e il nuovo assessore dichiara guerra alla terribile piaga delle bici sul marciapiede, promettendo rimozioni e intervento degli stessi vigili di prossimità che erano stati annunciati non molti giorni fa per incrementare la sicurezza.

(qui avrebbero dovuto spostare le bici da vicolo sant’Antonio: una “apposita rastrelliera” di cui fu promessa rapida sostituzione, attesa per anni, e che alla fine è stata direttamente tolta)

Francamente mi aspettavo un po’ più di lungimiranza. Sono anni che è nota la cronica assenza di stalli funzionali per legare le bici: i pochi presenti sono inservibili, il più delle volte semidistrutti, e comunque di una tipologia ormai universalmente riconosciuta come disfunzionale a legare la bici secondo criteri minimi di sicurezza.

Non ci sono davanti alle scuole, non ci sono davanti ai poli attrattori di traffico, non ci sono neanche alla coop, che l’assessore conosce e frequenta. E non ci sono neanche i percorsi sicuri per raggiungerli, quei poli.

Fino all’anno scorso, quando ancora non era assessore, pur avendo qualche difficoltà con il mezzo a causa di evidente inesperienza (siamo sempre disponibili a dargli qualche suggerimento, per non sudare), sembrava aver quasi colto il problema:

 

“la pedalata non mi si confà”

I pali della cartellonistica, a cui spesso vengono impropriamente legate le bici, sono l’unica via di fuga praticabile se non ci si vuole trovare senza mezzo, e spesso e volentieri hanno un margine tra il palo e lo scalino che permette di legare il mezzo senza creare alcun intralcio.

Certo, è doveroso intervenire in tutti quei casi in cui il potenziale intralcio rischia di essere di impedimento alle categorie più deboli. Ma proprio per questo mi sarei aspettato un intervento deciso per rimuovere le auto sugli scivoli, quelle in perenne doppia fila tra via Petrarca e piazza della Costituzione, per dare un giro di vite ai furgoni dei corrieri, o per regolamentare con mano ferma la sostanziale situazione di “libero tutti” che si verifica all’entrata e all’uscita dalle scuole in via Torino e in via della Pace: quei luoghi dove i cittadini del futuro finora hanno imparato che sostanzialmente se hai un’auto puoi fermarti dove diavolo ti pare, certo dell’impunità.

Quantomeno avrei sperato in un colpo al cerchio e uno alla botte.

malasosta

questa la situazione degli stalli per i ciclomotori e dei marciapiede, fotografata nel paio d’ore tra la lettura della notizia e il rientro a casa, senza neanche andare a cercare situazioni particolari

questa la doppia fila in via Petrarca

Perché se è di sicurezza che parliamo, è molto più probabile correre rischi allargando la traiettoria per buttarsi a centro strada e scansare una, due, dodici auto in doppia fila, mentre da dietro sopraggiungono altre auto appena ripartite dall’incolonnamento al semaforo.

Se è di decoro e educazione alla legalità che parliamo, sarebbe utile insegnare ai nostri ragazzi con l’esempio che soprattutto fuori dalle scuole gli spazi vanno rispettati, e la priorità va agli umani, e non ai mezzi a motore. E che non servono due vigili per fermare le auto alle strisce, ma al massimo ne serve uno dieci metri più in là, a fermare chi non s’è fermato, o a sanzionare chi usa l’unica sosta per disabili come stop&go per scaricare il figlio.

Se è di accessibilità che parliamo, è più facile che sia un’auto a bloccare uno scivolo di quanto riesca una bici a bloccare un marciapiede. Certo, a meno che il marciapiede non sia progettato per gli gnomi, o non sia bloccato direttamente dai lampioni, come sulla panoramica.

“La mobilità ciclabile deve essere incentivata anche attraverso l’incremento di percorsi ciclabili e rastrelliere, ma…”

Non c’è un ma.
Come dice Benjen Stark nel Trono di Spade: Una volta mio fratello mi disse che tutto ciò che viene prima della parola “ma” non conta niente.

Se si vuole davvero incentivare qualcosa, prima si creano le condizioni e poi si interviene a sanzionare gli irriducibili.

Non lo dico io, lo dice Mikael Colville-Andersen, CEO di Copenhagenize, uno dei massimi esperti mondiali di mobilità ciclabile, quando spiega i concetti base legati alle priorità di intervento: non esiste l’uovo o la gallina: c’è solo l’infrastruttura

Ma siccome non siamo mica in Danimarca (semicit.), volendo potremmo prendere spunto dal commissario ai trasporti di New York sotto Bloomberg, quello che ha pedonalizzato Times Square:

Se vuoi costruire una città migliore, puoi cominciare a fare percorsi ciclabili [Jeanette Sadik-Khan]

Ecco, se la mobilità deve essere incentivata, io inizierei a mettere mano agli incentivi.
Evitando di cominciare col bastone, oltretutto calibrato esclusivamente su un’utenza, mentre attorno le situazioni di decoro e di convivenza civile sono quantomeno latitanti su tutti i fronti, con il grossissimo discrimine che alcuni pongono problemi che oltre al decoro e alla convivenza vanno a intaccare altre questioni non proprio secondarie, come il diritto a spostarsi in sicurezza, a preservare la propria incolumità, e a margine (ma non troppo) anche a preservare la salute che tanto sembra stare a cuore dell’attuale giunta.

La prima dichiarazione di intenti pubblica va nella direzione opposta.
La differenza con quattro anni fa è tutta nell’ultimo post di questo blog

Stavolta non ci saranno altre lettere che chiamano altre promesse. Solo un invito a tutti a non farne, di promesse. Soprattutto, a non dire cazzate. E la certezza che a chiunque continuerà ad affrontare il tema in maniera approssimativa non verrà concesso il beneficio del dubbio, né la fiducia incondizionata in attesa di un risultato da rimandare di mese in mese, di anno in anno, fino alle elezioni del 2024.

Se ve la sentite di affrontare il tema seriamente, provate a partire dai collegamenti in questo post. A frugare tra cinque anni di idee. E non vi peritate a rubarle.

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E siccome vogliamo essere propositivi, consideriamola una falsa partenza. Auguriamoci di non inciampare di nuovo nella sindrome di Fonzie e di trovarci di fronte a un’ammissione che forse, dico forse, siamo partiti a costruire le cose dal tetto, e che forse, ma forse, per chiedere che le biciclette vengano parcheggiate “nelle apposite rastrelliere” sarebbe il caso che quelle rastrelliere prima di tutto ci fossero, e poi che fossero progettate e installate secondo criteri di razionalità e funzionalità.

Nella fase di partecipazione preliminare alla stesura del PUMS avevamo dato alcuni suggerimenti, poi purtroppo sappiamo come è andata a finire.

Dato che mentre aspettavamo non abbiamo smesso di studiare e documentarci, approfittiamo dell’occasione triste per trasformarla in un’opportunità, segnalando a chiunque sia veramente intenzionato ad approfondire il tema e a incentivare la mobilità ciclabile un manuale dettagliato da cui prendere spunto per copiare a piene mani quelle che sono le buone pratiche in tema di bici e di sosta.

Perché sia l’inizio di un buon lavoro, e non di una battaglia di retroguardia.


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cinque anni, siamo ancora qui

Your face, your race, the way that you talk
I kiss you, you’re beautiful, I want you to walk
We’ve got five years, stuck on my eyes
We’ve got five years, what a surprise
We’ve got five years, my brain hurts a lot
We’ve got five years, that’s all we’ve got
[David Bowie]

Cinque anni fa, con una lettera aperta che prendeva spunto dalla prima bozza di programma del futuro sindaco e con una serie di discussioni sui social, prendeva il via il tentativo di impegnarsi per portare all’attenzione di chi amministra il comune i temi della mobilità umana, della sicurezza stradale e della riqualificazione degli spazi.

Da quel sasso in piccionaia, sono stati cinque anni di studi che hanno spaziato dall’urbanistica al design, dalla comunicazione alle normative. Anni in cui nel resto d’Italia hanno continuato a succedere cose, in cui molte città hanno fatto enormi passi avanti e molte altre sono rimaste al palo. Anni in cui nel resto del mondo sono state raggiunti risultati imbarazzanti, e avviate politiche tanto drastiche di riduzione della presenza di auto in città da sembrarci – qui nella remota provincia – fantascienza pura. Anni di incontri fatti e di incontri mancati, di rinvii, di promesse non mantenute e di suggerimenti inascoltati.

Passati cinque anni, mentre aspetto che a breve ricominci il circo preelettorale, mi ritrovo a prendere atto della situazione locale, e anche se continuo a sperare nel meglio, e rifletto su che fare, mi preparo al peggio.

bici

In cinque anni purtroppo i tentativi di coinvolgere altre persone attorno al tema della mobilità urbana, o anche solo della bici come mezzo di spostamento in città, hanno sortito risultati scarsi. Il mondo del ciclismo sportivo è rimasto legato all’ambito sportivo, il bosco come via di fuga, la possibilità di incidere con la forza dei numeri svanita. La cosiddetta società civile è rimasta abbastanza sorda di fronte ai tentativi di cambiare l’approccio al tema di fondo dello spostarsi in città. Personalmente ho sbagliato molto, e devo ancora capire se e cosa ho la possibilità di correggere. D’altra parte, cambiare davvero abitudini comporta impegno e volontà personali di farlo, e per forza non si fa nemmeno l’aceto.

Ultimamente poi, si sono affacciate tematiche più imponenti a catalizzare l’attenzione, problemi da molti percepiti come più pressanti. Probabilmente le questioni che ruotano attorno alla discarica e alla fabbrica assorbiranno il 90% dell’attenzione, anche se tutti si scordano di tenere in considerazione quelle due realtà a dir poco ingombranti quando si parla di percorsi della ciclovia tirrenica.

Delle infinite proposte più o meno strutturate, delle richieste, delle prospettive è cambiato poco. Così come è cambiata poco la struttura della città. Le sperimentazioni veloci, le idee innovative, le iniziative concrete e non relegate alla semplice sensibilizzazione, ormai dimostratasi palesemente inefficace, restano prioritarie da affiancare a una pianificazione a lungo termine. Pianificazione che resta da rivedere, alla luce di un piano della mobilità approvato fuori tempo massimo e che – per usare un eufemismo – presenta qualche criticità. Per gli interventi nel mondo reale, aspetto nella migliore delle ipotesi che il Conad cominci i lavori per spostarsi, coscienti che paghiamo un centinaio di metri di ciclabile (dovuta) con un centinaio di posti auto extra, e l’ennesima rotatoria per fluidificare il traffico. Il resto è poco più che ciclopedonali sulla carta, e anche sulle ciclopedonali abbiamo già dato.

Tra poco si ricomincia con le promesse, ma a questo giro non cadrò in tentazione: cinque anni fa tirare per la giacchetta qualche candidato sui social è servito forse a porre fine all’inserimento di due semplici righe con le #pisteciclabili sui programmi. A definire che i percorsi devono avere un senso per spostarsi da A a B, e che non sempre #pisteciclabili è la risposta giusta. Qualcuno ha cominciato a interrogarsi e approfondire ,qualcun altro a fare attenzione a fare promesse quando parla di mobilità attiva. Molti continuano imperterriti a trattare la bicicletta esclusivamente come un attrezzo sportivo, o legato al turismo, o adatto al massimo a una passeggiata domenicale. Chi non ha capito in cinque anni che stiamo parlando di mezzi di trasporto e di diritto agli spazi, e continua a parlare di ciclopedonabili (sic.) che attraversano parchi (giuro, l’hanno scritto davvero) dubito che potrà capirlo in un momento concitato come una campagna elettorale, in cui tutti fingono di ascoltare ma nessuno segue davvero qualcosa che non sia il consenso in termini di numero di voti.

Quindi, a chiusura di un percorso, stavolta non ci saranno altre lettere che chiamano altre promesse. Solo un invito a tutti a non farne, di promesse. Soprattutto, a non dire cazzate. E la certezza che a chiunque continuerà ad affrontare il tema in maniera approssimativa non verrà concesso il beneficio del dubbio, né la fiducia incondizionata in attesa di un risultato da rimandare di mese in mese, di anno in anno, fino alle elezioni del 2024.

bikeyoda

“Fare o non fare, non c’è provare”

A chi parlerà di mobilità attiva, di biciclette, o anche solo di sostenibilità: cercate di farlo con cognizione di causa, pensando a tutti i tipi di utenze, e di far seguire alle parole i fatti. Cominciate dando l’esempio: il paese è piccolo, la gente mormora. Proseguite agendo concretamente per tutti. Concludete puntando a un quadro generale che abbia un senso, se davvero volete cambiare qualcosa che non siano i discorsi. Non possiamo aspettare trent’anni continuando a raccontare, auspicare, pianificare varianti, progetti ad aziendam e aggiustamenti in corso d’opera come ci hanno abituato per il racconto della seconda strada d’accesso in città, che forse sarà pronta quando non servirà più.

Nel frattempo, questo blog resta qui a raccogliere #ideesparse ed esempi dalle città del futuro, incluse quelle dove il futuro è già arrivato. A tener traccia di quello che succede in città. E a cercare di essere uno spunto per uscire dal provincialismo.

Se ve la sentite di affrontare il tema seriamente, provate a partire dai collegamenti in questo post. A frugare tra cinque anni di idee. E non vi peritate a rubarle.

Io tra altri cinque anni spero di essere ancora qui, se non mi schiaccia un camion sulla via del porto. E spero di non trovarmi a dover cambiare canzone dell’incipit con questa.

E ha perso la città, ha perso un sogno
Abbiamo perso il fiato per parlarci
Ha perso la città, ha perso la comunità
Abbiamo perso la voglia di aiutarci