we’ll meet again
don’t know where
don’t know when
but I know we’ll meet again
some sunny day
Questo è un blues. Una ritirata, un rinvio ad un futuro indeterminato.
Un arrivederci in attesa di notizie concrete.
È un’analisi, smaccatamente di parte. E in parte uno sfogo rassegnato.
Lo pubblico col cuore triste, solo perché a dicembre su questo blog ci eravamo lasciati con la promessa di un aggiornamento.
Le linee guida, più volte annunciate e rimandate nell’arco di due anni e mezzo, ci sono arrivate in visione il 16 gennaio, monche dei due allegati con le “caratteristiche geometriche delle strade per la mobilità ciclabile” e con i contributi del percorso partecipativo (tra cui anche quanto inviato come #salvaiciclisti)
L’allegato 2 con i contributi (incluso il nostro) è arrivato il 20 febbraio, dopo due solleciti. L’allegato 1, dopo ulteriore sollecito, soltanto il 22.
Sorvolo sui tempi di redazione del PUMS vero e proprio, per cui un professionista che ai piani di città ben più consistenti della nostra ha lavorato e lavora ci scrisse “due anni per la redazione sono più che sufficienti a garantire un buon lavoro“. Già i tempi di reazione e di lavoro alla questione linee guida non ispirano il massimo dell’entusiasmo.
Mi sono comunque preso la briga di perdere un po’ di tempo su quello che avevamo.
Escluse le poche pagine di conclusioni, si tratta di un’analisi della situazione attuale alla quale manca a monte la definizione di un metodo, e che in parte è basata su un questionario che credo si possa quantomeno definire scarsamente rappresentativo, dato che ne sono pervenuti 300 (su una popolazione di 30000) e dato che almeno per quanto riguarda i questionari online c’era la possibilità di compilare lo stesso questionario più volte.
Al di là del come si è arrivati alle conclusioni, comunque, ho provato a schematizzare i pro e i contro in un’analisi per punti
– Si ipotizza la figura del mobility manager aziendale e comunale. È uno step importante per il riconoscimento delle problematiche specifiche di grossi gruppi in movimento in maniera omogenea. A patto che non diventi l’ennesimo ruolo dove piazzare qualcuno che ha più conoscenze che competenze, o l’ennesima figura di rappresentanza fine a se stessa. Certo, il fatto che per uno stallo bici nei pressi del Comune – promesso a novembre 2015 su segnalazione della rottura di una rastrelliera preesistente e mai sostituito – non si sia ancora mosso un dito non fa ben sperare, almeno per quanto riguarda la possibilità di intervento per i dipendenti comunali
– Si accenna a un percorso ciclabile centro-porto. Finalmente. A patto che non si incagli sulle intersezioni (e non è facile, conoscendo il percorso) e che non marginalizzi chi quel percorso lo affronta quotidianamente in bicicletta rendendo arzigogolato un giro lineare, se evita la condivisione dei percorsi in bici con i camion è già un successo. Temo la rotonda, così come lo svincolo su largo Tortora, ma se la tratta viene ben gestita nei dettagli si parla di una necessità di base. Uno dei pochi percorsi dove veramente ha un senso la separazione – anche solo indicativa – degli spazi.
– Si accenna alla messa in sicurezza dei quartieri, attraverso una politica di riduzione della velocità veicolare, e forse questo è l’unico punto senza nessuna riserva di tutto il documento. Il punto che da parte mia trova un appoggio incondizionato, proprio perché chiaro, conciso, diretto e sostanzialmente espressione efficace di uno scopo concreto e condivisibile da raggiungere.
Da qui, il resto delle conclusioni purtroppo solleva altrettante perplessità, laddove non generi direttamente sconforto.
– Si parla in sostanza di aumentare i parcheggi per ridurre l’uso del mezzo privato, contrariamente a tutte le buone pratiche già sperimentate altrove, addirittura dove non ce n’è mai stati e dove non ce n’è bisogno (lungomare Marconi, dove le case nuove hanno i garage, si vanno a creare cattive abitudini anche dove non c’erano)
– Contestualmente, a proposito di sosta, non c’è nessun accenno agli stalli per bici, che restano sottodimensionati in proporzione, inadeguati e non manutenuti. A partire da quelli sotto al Comune.
– Non si trova nessuna menzione della possibilità di spostamento autonomo da e per le scuole, si fanno solo accenni al TPL come trasporto possibile per gli studenti, che sembrano in buona sostanza tenuti fuori dal quadro della mobilità urbana. Non è un paese per giovani.
– Manca qualsiasi accenno o ipotesi legati al concetto di cycle logistics (per consegne, servizi spazzamento e vigilanza). Le cargo bike, queste sconosciute.
– Troppe volte ancora si accenna alle ciclopedonali: traspare sempre un concetto di marginalità della bici come mezzo di trasporto. Addirittura c’è un accenno a un percorso ciclo-pedonale (sic!) in via Roma, di cui mi sfugge l’utilità: si parla di una via stretta e a rischio bassissimo, per la quale anche ipotizzando un allargamento in vista del trasferimento della coop dubito si possa ipotizzare un peggioramento tale dei flussi e delle velocità veicolari da giustificare una segregazione. A meno che non si intenda trasformare l’asse via Lombroso-via Roma in un’arteria ad alto scorrimento, con buona pace della volontà di allontanamento del traffico dal centro. Soprattutto considerato che l’intervento è condito con l’ennesimo parcheggio, nell’area dell’ex scalo merci. Di nuovo, un parcheggio a pochi metri dal centro per allontanare il traffico e le auto dal centro.
– Buona parte delle ipotesi è subordinata a cambiamenti della città che già sono in forse (lo spostamento coop) o che ancora sono di là da venire (il secondo lotto 398,che a differenza del primo ci risulta ben lungi dall’essere finanziato). Nella migliore delle ipotesi, si prospettano tempi biblici.
In conclusione, al di là dei (pochi) dettagli che emergono, quello che sfugge è comunque un obiettivo, una politica definita.
Cosa vogliamo fare? Quale obiettivo vogliamo raggiungere?
Meno auto in città?
Spostarsi in maniera più ecologica?
Migliorare la salute dei cittadini?
Migliorare la sicurezza sulle strade?
Forse si intende diminuire il traffico, ma cosa significa diminuire il traffico? Ancora prima di discutere “come si fa”, dovremmo capire cosa significa per noi l’espressione “diminuire il traffico”. Anche qui ci possono essere risposte diverse. Ad esempio, come estremi: consentire ad un certo numero di automobili di fluire più rapidamente e quindi aumentare lo spazio a disposizione delle automobili, oppure – all’estremo opposto – diminuire il numero di automobili cioè diminuire lo spazio a disposizione delle automobili.
La scelta è politica. Ed è in base alla risposta che diamo che possiamo definire le strategie attuative.
La sensazione purtroppo è che la partecipazione non sia presa in considerazione se non su quei pochi punti già definiti a monte del percorso, all’annuncio delle intenzioni di lavorare al PUMS: fare più parcheggi e più piste ciclabili, misurando queste ultime in metri di lunghezza come se fossero un indicatore di efficacia.
Si accenna peraltro più volte agli stakeholder come controparte con cui interloquire nei futuri sviluppi del piano, che viene descritto come un work in progress ma che sembra assomigliare più a una neverending story. Ma non dovrebbe essere la cittadinanza nella sua interezza, lo stakeholder principale? Se si considerano i soli portatori di interesse economico si esclude di fatto tutta la fetta debole della cittadinanza. Di nuovo i bambini non sono – in tutta evidenza – inclusi tra portatori di interesse, e infatti la possibilità per loro di muoversi in autonomia scompare dal quadro.
In conclusione quel che ho trovato io nelle linee guida – anche limitandosi alla sola questione ciclabilità – sono spazi residuali e marginalità per mezzi ancora non considerati come alternative per spostarsi. Un po’ di soluzioni figlie di una visione vecchia della mobilità, e molta poca concretezza. Alcune assenze clamorose, e un po’ troppo pressappochismo.
Sostanzialmente manca una visione nuova della città e dei suoi spazi, ed è del tutto assente una visione politica della mobilità.
Si insegue quel che la gente chiede per timore di creare malcontento, non si dà alla cittadinanza quello che si ritiene che serva. Si ipotizza un approccio soft, accomodante, teso in alcuni punti esplicitamente a “minimizzare gli effetti di impatto sulla circolazione veicolare urbana”, in sostanza facendo passare il messaggio che che in fondo la situazione attuale va bene com’è. E nel frattempo ci si toglie dalla responsabilità di fare delle scelte e portarle a compimento, trincerandosi dietro alle richieste della popolazione.
Solo qualche spunto è meritevole di interesse, e comunque dato il contesto resta da tenere d’occhio in base al vecchio adagio temi i greci, anche quando portano doni.
Il tempo e le energie spesi nel cercare di fornire una prospettiva meno novecentesca sembrano – ad oggi – essere finiti nel secchio, così come buona parte dei contributi più strutturati inviati, non limitandosi a quello portato assieme a #salvaiciclisti.
Nel mentre, la promessa di un “2017 anno della bicicletta” si è già ridotta a “i 9 mesi della bicicletta”, dato che comunque le linee guida non sono approdate in consiglio comunale neanche nella seduta di febbraio. Marzo è a metà, e laddove non è il nulla che avanza regna comunque la confusione di idee.
Il dibattito pubblico è pressoché immobile.
La comunicazione è fatta di annunci, scadenze non rispettate, ritrattazioni improvvise, assenze prolungate. Gare di rally in città fatte partire dalle strade pedonali.
Gli interventi sul territorio non pervenuti, con buona pace dell’idea di work in progress.
Nel frattempo, sul nuovo Piombino Oggi fresco di stampa, l’opposizione del movimento cinque stelle, quella coi numeri più alti in termini di rappresentanza dopo il partito di maggioranza, dà il suo sostegno a una proposta di quartiere che chiede per ragioni di sicurezza di chiudere alle bici la strada asfaltata che va a Baratti, e costringere a passare da una strada bianca. Un altro divieto come prima e unica proposta. Tanto per chiarire che non è un problema di bandiera o colore politico, c’è proprio uno scoglio a monte nella mentalità e nell’approccio di base, condito da un’ignoranza abissale sia delle problematiche che delle soluzioni applicabili, che portano a trattare la ciclabilità come un qualcosa che va fatto tanto per fare. Da qualsiasi parte arrivino le proposte.
Segno anche che molte delle tante parole spese qui come altrove sono state – purtroppo – parole al vento.
Quel che resta al momento sono gli annunci delle magnifiche sorti e progressive, e la narrazione di una città futura che non è dato sapere quando vedremo. A questo punto è imperativo per quel che mi riguarda trovare altre vie di fuga, in attesa che qualcosa si muova davvero, al di là degli annunci e delle buone intenzioni. E nella speranza che quando qualcosa si muoverà sarà nella direzione giusta, senza seguire troppo delle linee che onestamente sembrano un po’ troppo guida, nel senso che paiono scritte da dietro al volante di un’auto, e senza voler davvero mettere in discussione quel modello.
Continuare a ripetere concetti già espressi e comunicati in tutte le lingue possibili non servirà ancora a molto.
I contributi che potevo dare allo stato attuale li ho dati, sommandoli a quelli degli amici che hanno voluto collaborare con me in questi anni.
Continuare a scegliere quotidianamente come spostarmi assieme alla mia famiglia, nonostante le condizioni avverse, è probabilmente più efficace.
Di certo più divertente, una volta che uno impara a evitare i tanti piccoli rischi quotidiani, o a conviverci. E a insegnarlo ai figli.
E in fondo il mondo si cambia con l’esempio, non con le opinioni.

nonostante tutto
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